Esiste un’anima doppia, a Copenaghen, che si svela lentamente. È una città che riesce a essere, nello stesso momento, una capitale regale, consapevole del suo passato imperiale, e un villaggio marittimo dall’atmosfera quasi intima. L’acciaio e il vetro di architetture avveniristiche, che sembrano sfidare la gravità, non sovrastano, ma dialogano con le guglie di rame verderame e i tetti spioventi del centro storico. L’acqua non è un semplice sfondo ornamentale, ma un protagonista assoluto, un elemento che modella la vita, addolcisce la luce nordica e impone un ritmo più calmo. Intraprendere una visita Copenaghen significa andare oltre una semplice lista di monumenti; è un’immersione in un ecosistema sociale dove la hygge – quel concetto danese di comfort, intimità e benessere condiviso – non è uno slogan per turisti, ma un principio tangibile. Si respira nella cura quasi maniacale per gli spazi pubblici, nella priorità assoluta data alla bicicletta e in un senso di comunità che sorprende in una metropoli così sofisticata.
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ToggleIl porto dei mercanti
La geografia della capitale danese non è un caso, è il suo destino. Capire dove si trova Copenaghen significa afferrare il motivo stesso della sua esistenza. Adagiata sulla costa orientale dell’isola di Sjælland (Zelanda), con una parte significativa protesa sulla vicina isola di Amager, la città è nata per sorvegliare e dominare. Il suo sguardo è da sempre fisso sullo stretto di Øresund, il corridoio d’acqua, largo pochi chilometri, che separa la Danimarca dalla Svezia. Il suo stesso nome, København, che deriva dall’antico Købmandshavn (“porto dei mercanti”), è una dichiarazione d’intenti. Per secoli, la corona danese ha costruito la sua immensa ricchezza imponendo un pedaggio, il Sundtold, a ogni singola nave che desiderava entrare o uscire dal Mar Baltico. Copenaghen era la cassa e la chiave di questo passaggio obbligato. Questa geografia, un tempo puramente strategica e militare, è stata radicalmente reinventata nel 2000. L’inaugurazione del Ponte di Øresund, un’opera ingegneristica spettacolare che si inabissa per l’ultimo tratto, ha trasformato una barriera in un collegamento. Ha saldato fisicamente Copenaghen alla città svedese di Malmö, creando di fatto un’unica, dinamica regione metropolitana transnazionale nel cuore della Scandinavia.
L’impronta di un re e la resilienza del fuoco
Oggi appare come una capitale elegante, ma Copenaghen iniziò come un umile villaggio di pescatori vichinghi. Il suo destino cambiò per sempre nel 1167, quando il potente vescovo Absalon, consigliere del re, vi costruì un castello fortificato sull’isoletta di Slotsholmen, un baluardo contro le incursioni dei pirati. Da quel momento, protetta dalle mura, la città mercantile iniziò a fiorire, diventando infine la capitale del regno. Sebbene molti monarchi abbiano lasciato il segno, è stato Christian IV, re nel XVII secolo, a plasmare fisicamente l’immagine della città. È stato un “re-architetto”, quasi ossessionato dall’idea di trasformare Copenaghen in una grande capitale nordica. A lui si deve la Torre Rotonda (Rundetårn), un osservatorio astronomico unico, con una rampa elicoidale interna che permetteva al re di salire in cima in carrozza. Fu lui a commissionare il castello di Rosenborg, uno scrigno rinascimentale oggi custode dei gioielli della corona, e soprattutto l’edificio della Borsa (Børsen), la cui guglia, alta 56 metri e formata dalle code intrecciate di quattro draghi, è forse il simbolo più stravagante dello skyline.
Tuttavia, la Copenaghen che si visita oggi è anche il prodotto di immense sfortune. La città medievale, fatta di case in legno e paglia, fu quasi completamente cancellata da due catastrofici incendi nel 1728 e nel 1795. Poco dopo, nel 1807, durante le guerre napoleoniche, la flotta britannica sottopose la città a un pesante bombardamento per impedirne l’alleanza con la Francia. Queste tragedie rasero al suolo interi quartieri. La ricostruzione che ne seguì, però, fu coerente e diede alla città quell’aspetto neoclassico, elegante e uniforme, con i suoi edifici color ocra e le facciate pulite, che caratterizza ancora oggi gran parte del centro. Fu in questa città rinata che fiorì la “Età dell’Oro” danese, un periodo di incredibile fermento culturale che vide camminare per le stesse strade il filosofo Søren Kierkegaard, il favolista Hans Christian Andersen e lo scultore Bertel Thorvaldsen.
Il cuore della città, tra commercio e potere

Il centro storico, Indre By, è il palcoscenico della vita cittadina. Il suo asse portante è Strøget, un nome collettivo per una serie di vie che, collegate tra loro, formano una delle arterie pedonali commerciali più lunghe d’Europa. Collega la caotica piazza del Municipio (Rådhuspladsen), dominata dall’edificio di mattoni rossi ispirato al palazzo comunale di Siena, alla raffinata Kongens Nytorv (Nuova Piazza del Re). Strøget è un flusso costante di vita, un susseguirsi di grandi magazzini storici come Illum, boutique di design danese (Royal Copenhagen, Georg Jensen) e piazze vivaci come Amagertorv, con la sua celebre fontana delle cicogne. Ma l’immagine da cartolina per eccellenza, l’angolo più fotografato, è senza dubbio Nyhavn, il “Porto Nuovo”. Paradossalmente, questo canale del XVII secolo è tutto tranne che nuovo. Fu scavato per permettere alle navi mercantili di scaricare le merci fin dentro la città. Le sue celebri facciate colorate, un tempo dimore di marinai, locande malfamate e, a più riprese, dello stesso Andersen, oggi si specchiano sull’acqua, dove sono ormeggiati velieri d’epoca. È il “salotto” della città, il luogo dove fermarsi per una birra o uno smørrebrød (il tipico panino aperto).
Se Nyhavn è il volto turistico, il vero centro del potere si trova a pochi passi, sull’isola di Slotsholmen, dove tutto ebbe inizio. Qui sorge il massiccio Palazzo di Christiansborg. È un luogo unico in Europa: sotto lo stesso tetto, ospita tutti e tre i rami del governo: il Parlamento (Folketinget), gli uffici del Primo Ministro e la Corte Suprema. Non solo, una parte del palazzo è ancora utilizzata dalla famiglia reale per i ricevimenti ufficiali, con le sue magnifiche sale degli arazzi. Le rovine sotterranee del castello originario del vescovo Absalon sono visitabili, un viaggio alle fondamenta della città. Stabilire cosa vedere a Copenaghen in un solo viaggio è difficile, ma questo complesso è imprescindibile. Per l’aspetto più fiabesco della monarchia, bisogna spostarsi nel quartiere di Frederiksstaden, dove si trova il Palazzo di Amalienborg.
I due simboli: la malinconia e la gioia
Copenaghen affida la sua immagine nel mondo a due simboli che non potrebbero essere più diversi. Il primo è un’icona di quiete e introspezione: la sirenetta di Copenaghen. Posizionata sulla passeggiata lungomare di Langelinie, la prima reazione di molti visitatori è la sorpresa per le sue dimensioni. È una statua volutamente minuta, intima, posata con grazia su uno scoglio. Commissionata nel 1913 da Carl Jacobsen, il patron della birreria Carlsberg, dopo essere rimasto folgorato da un balletto basato sulla fiaba di Andersen, la sua figura in bronzo guarda malinconicamente verso il mare. È un simbolo fragile: nel corso della sua storia è stata decapitata due volte, ha perso un braccio ed è stata più volte imbrattata di vernice, ma i danesi l’hanno sempre pazientemente restaurata. L’altro simbolo è l’esatto opposto: un’esplosione di gioia, luci e nostalgia. I Giardini di Tivoli, aperti nel 1843, sono il secondo parco divertimenti più antico al mondo. Definirlo “luna park” è riduttivo. Tivoli è un’istituzione culturale, un giardino incantato incastonato tra la stazione centrale e il municipio, un luogo che ispirò persino Walt Disney.
Oltre il centro: la città che vive
Fermarsi al centro storico, per quanto affascinante, significa vedere solo la facciata. L’anima più complessa e moderna di Copenaghen risiede nei suoi quartieri. A pochi minuti, sull’isola di Amager, si entra in un’altra dimensione: la “Città Libera” di Christiania. Nata nel 1971 da un’occupazione di un’area di caserme militari abbandonate, Christiania è un esperimento sociale unico, un’enclave autogestita di circa 850 persone basata su principi collettivistici. È un luogo di forti contrasti, da sempre in bilico tra utopia (un mondo senza auto, pieno di architetture bizzarre e creative) e problemi reali (la nota Pusher Street, centro di spaccio a cielo aperto). Per la vita quotidiana, però, bisogna guardare a Vesterbro e Nørrebro. Vesterbro, l’ex quartiere a luci rosse dietro la stazione, è l’epicentro della gentrificazione. Il Kødbyen, il vecchio distretto della carne, ne è il simbolo: i macelli dismessi, con le loro piastrelle bianche, sono oggi gallerie d’arte, studi di design e sede dei ristoranti più innovativi della New Nordic Cuisine. Nørrebro è invece il cuore multietnico, giovane e vibrante della città. È qui che si trova l’Assistens Kirkegård, un luogo che riassume perfettamente la mentalità danese: è un cimitero monumentale che funge, al contempo, da parco pubblico.
Il futuro sostenibile e la cultura della bicicletta
Negli ultimi vent’anni, Copenaghen si è imposta come un laboratorio globale per l’urbanistica sostenibile. Il lungomare, un tempo industriale e inaccessibile, è stato restituito alla città. Architetture audaci lo hanno ridisegnato, come il “Diamante Nero” (Det Sorte Diamant), la moderna estensione della Biblioteca Reale, o il colossale Teatro dell’Opera (Operaen). La sostenibilità qui non è uno slogan, ma un fatto tangibile. L’acqua del porto è oggi così pulita che i residenti vi nuotano per tutta l’estate nei havnebade, i bagni portuali pubblici. L’innovazione arriva a sfiorare l’incredibile con CopenHill, un termovalorizzatore di ultima generazione sul cui tetto è stata costruita una pista da sci artificiale aperta tutto l’anno. Ma il vero simbolo di questo stile di vita, l’elemento che definisce il ritmo della città, è la bicicletta. La cykelkultur qui è quasi una religione.
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